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Mascherine filtra sorrisi. Riflessioni sui possibili effetti della deprivazione sociale nei bambini


Negli ultimi mesi siamo stati privati di tante cose, della vicinanza ai nostri cari, degli abbracci e soprattutto della nostra mimica facciale. Stiamo riscoprendo il valore della definizione “sorridere con gli occhi”, ma basterà? Agli adulti forse sì, per un po', ai bambini decisamente no.


 

Sorrisi spontanei, finti, impostati, buttati lì per una foto ricordo. Ci mancano i sorrisi, di tutti i tipi. Abbiamo dovuto rimpiazzarli con gesti che non ci appartengono come alzare il pollice o con buffi movimenti, come darsi il gomito.


Finalmente i bambini escono, alcuni per la prima volta nella loro vita, se nati in quarantena o poco prima; finalmente vedono il cielo, le nuvole, gli alberi, un mondo per loro sconosciuto, stimoli fondamentali per il loro sviluppo cognitivo.

Bambini poco più grandi abituati ad andare all'asilo, a correre incontro ai nonni, a giocare con i compagni abbracciandosi senza limitazioni, escono ora in un mondo di zombie con le mascherine, nel quale devono star attenti a tutto e tutti. Forse sono loro ad essere stati realmente privati di un universo che avevano iniziato a conoscere e oggi non ritrovano più.

Faticano a riconoscere i loro cari, si guardano intorno, in parte spaventati, per un mondo che ha annullato i volti e con essi le loro espressioni. Siamo tutti uguali con quel pezzo di stoffa in faccia, l’uguaglianza tanto aspirata in molteplici contesti è oggi annullamento.

Si gira per strada e ci si saluta incerti, spesso si sentono frasi tipo “Scusami non ti avevo riconosciuto!”. I soliti volti, quello del commerciante sotto casa, del vicino, del collega, sono difficili da distinguere tra gli altri. Per i bambini lo è ancora di più, riuscire a riconoscere gli occhi dei nonni che sbucano poco più fuori della mascherina non è facile, per i più piccoli è impossibile. I bambini con le facce interdette osservano le persone che si fermano davanti ai loro passeggini, che provano a sorridere dietro il loro pezzo di stoffa colorato, ma loro non possono vederlo, fanno faccette e vocine nella speranza di avere una reazione dai piccoli, reazione che si ha solo quando ricordandosi di avere il volto coperto si allontanano un po', abbassano la mascherina ed eccoli lì, i sorrisi. Quei sorrisi sembrano dire “Ah! Eri tu nonno, non ti vedevo lì nascosto”, quei sorrisi di riflesso dei neonati che reagiscono a qualche smorfia.

È così che imparano a sorridere i bambini, in risposta ad uno stimolo, spesso facce buffe o quelle tipiche vocine che chissà perché escono fuori quando si parla ai neonati.

I sorrisi ci mancano, ma sopratutto ci servono. Come impareranno a sorridere i neonati?


Il distanziamento sociale mette a rischio questo meraviglioso apprendimento, i bambini intorno al primo mese di vita infatti iniziano a sorridere in caso di stimoli esterni e possono essere considerati come una vera e propria espressione sociale. Di solito sorridono quando riconoscono un volto familiare, ma anche quando vedono un estraneo che gli sorride. Solo dopo, intorno a 4 o 5 mesi, quando cominciano a divertirli gli scherzi delle persone vicine, l'essere lanciati in aria, il solletico o il gioco del bubù- settete, passano dal sorriso alla risata, che si manifesta con rumori e gorgoglii.

Sorridono per esprimere piacere, eccitazione, felicità. Verso i 7 o gli 8 mesi, cominciano a ridere di gusto. Ridono forte quando sono felici e si divertono. Sorridono per interagire.

In tutte le tappe dell’evoluzione del sorriso, la relazione con l’altro è fondamentale se non imprescindibile.

Che conseguenze avrà quindi il distanziamento sociale in questo processo?


Durante la quarantena per i più piccoli, i bisogni relazionali sono stati soddisfatti, solo in parte e temporaneamente, dagli adulti di riferimento, ma non è sufficiente.

Per quanto riguarda i bambini poco più grandi, uno studio di Elisa Delvecchio, ricercatrice in Psicologia dinamica, e di Claudia Mazzeschi, professoressa ordinaria di Psicologia clinica dell'Università degli Studi di Perugia, evidenzia che seppur a livello medico i bambini non sembrino essere “pazienti” a rischio, l’impatto del COVID-19 potrebbe avere un peso rilevante sul loro benessere psico-sociale. Lo studio, volto ad indagare l'impatto psicologico del distanziamento sociale sui bambini, fa emergere che, in generale, i bambini e le bambine presentano notevoli capacità di adattamento ai cambiamenti di contesto. Alcuni possono avere manifestato paura, irritabilità, scarsa iniziativa e sono riusciti ad affrontarli ricevendo dagli adulti informazioni chiare e adatte all'età, rassicurazioni sulle condizioni dei propri cari, spazi per esprimere le proprie emozioni, regolarità negli impegni della nuova quotidianità.

Una quotidianità ben scandita prima del distanziamento sociale è stata improvvisamente spazzata via, niente più feste di compleanno, partite di calcio, lezioni di musica e pranzi dai nonni. I nonni si possono vedere solo attraverso uno schermo, le videochiamate giornaliere hanno scandito e coltivato le relazioni. Anziani non avvezzi alla tecnologia sono diventati esperti di quegli strumenti che hanno permesso di veder crescere i loro nipoti, di ascoltare i racconti dei bambini, di farli ridere seppur distanti.

L’obiettivo principale, in primis dei genitori, è stato “normalizzare” la situazione di emergenza, con fiabe e giochi inventati ad hoc con la piacevolezza di essersi scoperti più forti e resilienti, in grado di reagire in maniera creativa. Quei genitori che dopo aver accettato che niente sarebbe stato come avevano immaginato, idealizzato, hanno attivato risorse inaspettate iniziando a pensare che il mondo che lasceranno ai loro figli non sarà lo stesso che fu consegnato loro anni prima.


Quali saranno davvero le conseguenze della deprivazione sociale, gli effetti che a lungo termine ci potranno essere sulla salute psicologica di un’intera generazione di bambini e ragazzi, lo scopriremo solo quando tutto questo sarà finito del tutto. Forse i bambini non avranno imparato a sorridere come lo abbiamo fatto noi, forse lo faranno meglio, forse svilupperanno risorse nuove?


Se l'essenziale è invisibile agli occhi, per loro quegli occhi che sbucano dalla mascherina sono stati l'essenziale. Chissà, forse loro sapranno davvero ridere con gli occhi e comprendere le emozioni delle persone solo da uno sguardo e oggi ci lanciano la provocazione del chi l'ha detto che serve vedere tutto il viso per leggere l'emozione altrui?

Intanto loro, i più piccoli liberi di stare a volto scoperto sorridono, sperando di tornare il prima possibile a quando ad essere contagiosi erano solo i sorrisi.

A cura di Martina Calandriello

Bibliografia

Cluver, L., Lachman, J.M., Sherr, L., et al. (2020). Parenting in a time of COVID-19. Lancet, 395 (10231): E64.

Colle, L., Del Giudice, M. (2006). Riconoscere i sorrisi autentici: differenze tra bambini e adulti. XX congresso nazionale AIP (Associazione Italiana di Psicologia), sez. Sviluppo.

Wagner, K.D. (2020). Affrontare l'esperienza di bambini e adolescenti durante la pandemia COVID-19. J Clin Psychiatry, 81(3): 20ed13394.

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